
Si è tenuta a Civitella del Tronto, in Sala Consiliare, la presentazione del volume
“L’assedio della fortezza di Civitella del Tronto e il brigantaggio legittimista nella più critica fase storica
dell’Unità d’Italia” alla presenza dell’autore, il professore Angelo Massimo Pompei.
Il volume, ambientato negli anni più intensi del Risorgimento italiano, ripercorre l’assedio della fortezza di Civitella del Tronto, analizzando il fenomeno del brigantaggio legittimista in area teramana e ascolana. Attraverso le vicende di due degli esponenti più emblematici, Bernardo Stramenga e Giovanni Piccioni, l’opera offre uno spaccato del complesso processo di unificazione nazionale in area meridionale, segnata dai conflitti sociali e politici.
La presentazione è stata inaugurata dalla Sindaca di Civitella del Tronto, Cristina Di Pietro, che ha ringraziato il
numeroso pubblico presente e ricordato l’importanza storica e civile dell’episodio trattato. L’evento si è
svolto alla presenza dello storico Ercole Bonanni, ex vice direttore dell’Istituto Abruzzese di Ricerche Storiche
di Teramo, socio della Deputazione abruzzese di Storia Patria e consulente per la Storia del Risorgimento
italiano del Consorzio Aprutino-Patrimonio Storico Artistico di Teramo, autore dell’importante opera “La
guerra civile nell’Abruzzo teramano, 1860-1861”, edita nel 1974 . Tra i presenti gli autori dei diversi contributi
del volume, il Prof. Angelo Massimo Pompei, esperto di abruzzesistica, il Prof. Pietro-Giorgio Tiscar, Professore
di Microbiologia Generale e Immunologia presso l’Università degli Studi di Teramo, l’Avv. Giovanni Stramenga,
discendente diretto di Bernardo Stramenga, e il Dott. Luigi Piccioni, discendente del brigante legittimista
Giovanni Piccioni.
La parola dopo il Primo Cittadino viene presa dall’Assessore Gabriele Marcellini, che ha tenuto a precisare
come la Fortezza di Civitella del Tronto si sia erta ad ultimo bastione nella difesa di un’identità secolare, a
ridosso di un nuovo mondo che avanzava. Il volume è stato poi introdotto dal Presidente della Fondazione
Pasquale Celommi, Prof. Viriol D’Ambrosio. Coinvolgendo gli spettatori, egli ha sottolineato l’importanza delle
opere di Renato Coccia, l’artista originario di Sant’Omero che in 63 opere d’arte ha ripercorso le complesse
vicende oggetto del volume di cui è altrimenti parca la documentazione iconografica.
È in seguito intervenuto il Dott. Leandro di Donato, poeta e ricercatore per l’Istituto Abruzzese di Ricerche Storiche, dove in un lungo e
appassionato discorso ha spiegato come l’opera presentata contribuisce a narrare la storia affrontandola in
maniera diretta, ricordando i tumulti e gli sconvolgimenti locali causati da ambo le fazioni del conflitto.
Il Prof. Tiscar si è quindi soffermato sul ruolo del suo trisavolo, Raffaele Tiscar De Los Rios, Maggiore
Vicecomandante della guarnigione della Fortezza di Civitella del Tronto, responsabile della resa firmata con il
comandante Pallavicini, a tre giorni di distanza dalla proclamazione del Regno d’Italia.
Ha preso, dunque, la parola il Prof. Pompei, il quale ha analizzato le vicende che portarono all’assedio della
fortezza di Civitella subito dopo l’arrivo a Napoli delle forze garibaldine. Ricollegandosi agli scritti dell’intellettuale Marco Monnier, l’autore ha spiegato come la storia del brigantaggio affondi le radici nell’area teramana.
L’avv. Giovanni Stramenga ha esaminato la contrapposizione tra le forze anti-clericali che si stavano
concretizzando nella nascente Italia e l’idea naturale delle popolazioni del territorio, ancora fortemente legate
alla Chiesa. Ciò spiega l’appoggio fornito dal clero ai rivoltosi.
Il dott. Luigi Piccioni ha dedicato, infine, il proprio intervento alla figura del trisavolo, spesso poco valorizzata dalla storiografia Il 20 marzo 1861 cadde, dopo una strenua resistenza, la fortezza borbonica di Civitella del Tronto, ultimo lembo di territorio dell’agonizzante Regno delle Due Sicilie ad arrendersi all’esercito italo-piemontese, suggellando la definitiva disfatta militare della dinastia borbonica. Ma già durante il prolungato assedio della fortezza era nato e si stava insidiosamente propagando un nuovo pericoloso avversario della ancor fragile costruzione unitaria: il brigantaggio. Le prime, provvisorie, istituzioni liberali, nate nei comuni abruzzesi dopo l’arrivo di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860, furono travolte, nelle aree più periferiche contigue allo Stato Pontificio, dalla diffusione di una insorgenza contadina agguerrita e incoraggiata dal centro di comando borbonico. In questo contesto la fortezza di Civitella del Tronto, con una guarnigione di circa 500 uomini fedelissimi al re Francesco II di Borbone, svolgeva un ruolo di direzione, di stimolo e di coordinamento delle insurrezioni locali, a volte intervenendo e collaborando attivamente con gli insorgenti, come a S. Egidio, ad Ancarano e, soprattutto, a Campli, dove guarnigione e contadini ribelli saccheggiarono il paese e operarono numerose violenze sfociate in tre omicidi.
Nel mese di gennaio 1861 l’esercito italo-piemontese guidato da Pinelli attaccò la banda papalina del
maggiore Giovanni Piccioni utilizzando anche, contro le popolazioni che ne sostenevano in vario modo
l’operatività, metodi repressivi di estrema violenza ed attuando la tattica della “terra bruciata”. Nell’area tra le due rive del Tronto furono incendiati 36 villaggi, i sospetti di brigantaggio venivano catturati e fucilati senza processo, sulla testa degli insorgenti venivano poste taglie per incentivare il sistema delle delazioni, le famiglie stesse dei ribelli alla macchia venivano colpite anche con gli arresti. Pur fiaccata da un assedio perdurante e stringente la guarnigione di Civitella offre numerosi esempi di tenacia e di valore, tra cui la vittoria riportata il 26 febbraio nel respingere, lanciando granate e rotolando sassi, un tentativo di attacco volto a superare con le scale la cinta muraria. Nel mese di marzo era ormai chiaro che il destino della fortezza era quello della resa a discrezione, tanto più che dallo stesso re Francesco II era stato inviato da Roma un messo per indurre la fortezza alla resa.
La data della resa della fortezza (20 marzo 1861), successiva di tre giorni a quella della proclamazione del
Regno d’Italia, è lo specchio della difficile prova che la giovane nazione proprio in Abruzzo riuscì positivamente
a superare in extremis. Dopo la resa della fortezza di Civitella il brigantaggio teramano non abbandonò del
tutto la matrice politica legittimista iniziale ma gradualmente assunse sempre più marcatamente un’impronta
puramente delinquenziale.
Al graduale ma inesorabile esaurimento del brigantaggio nel teramano corrisponde, a partire dall’estate del
1861, una rapida espansione a tutto il Mezzogiorno delle insorgenze contadine, acuite dalle mancate
quotizzazioni dei demani. Lo Stato italiano fu costretto ad impegnare in questa lotta fino a 120000 soldati (pari
a più di due quinti degli effettivi militari del nuovo Stato), più che nella guerra contro l’Austria del 1859. La
guerra durò fino al 1871 e provocò più morti che in tutte le guerre del Risorgimento. Alla fine, più che la
vittoria militare dello Stato, fu l’avvio della grande migrazione transoceanica a sgonfiare alla radice il
fenomeno. Rimanevano sul tappeto, irrisolti, i grandi problemi strutturali che ne avevano determinato
l’esplosione, di cui la classe dirigente risorgimentale, da Cavour in poi, aveva mostrato sempre grave
incapacità di comprensione.