Di Pasquale: “Che senso ha il Festival di Musica e Teatro dell’Adsu?”
La dirigente del PD si interroga sulla legittimità dell'impiego di risorse

“L’ADSU di Teramo ha recentemente presentato il programma della stagione 2025 del “32° Festival Diffuso di Musica e Teatro”, annunciato come un grande contenitore culturale diffuso nelle aree interne della provincia, con concerti, spettacoli teatrali e iniziative rivolte a un pubblico ampio e variegato. Un progetto sostenuto da fondi pubblici della Presidenza del Consiglio dei Ministri e incardinato – a detta della presidente Manuela Divisi – nella missione dell’Azienda per il Diritto agli Studi Universitari”.
È l’analisi di Manola Di Pasquale, dirigente regionale Partito Democratico Abruzzo.
“Tuttavia, è doveroso interrogarsi sul senso e sulla legittimità di un tale impiego di risorse e funzioni da parte di un ente che, per legge, è chiamato a garantire il diritto allo studio agli studenti universitari, attraverso servizi fondamentali come borse di studio, residenze, mense, orientamento, supporto psicologico, sostegno agli studenti con disabilità. Tutto ciò che serve, insomma, per rendere effettivo il dettato dell’articolo 34 della Costituzione: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». È difficile non rilevare una deriva “culturale-spettacolare” che poco ha a che fare con il diritto allo studio universitario. Organizzare concerti, spettacoli dialettali e rassegne teatrali nei borghi della provincia può forse valorizzare il territorio – e certamente il cartellone si presta a un plauso in termini di animazione culturale – ma è evidente che siamo fuori asse rispetto alla missione primaria dell’ente”.
E ancora: “Sotto la veste dell'”innovazione” e della “coesione sociale”, si rischia di trasformare l’ADSU in un ente culturale generalista, perdendo di vista le priorità concrete e quotidiane degli studenti universitari: il caro affitti, l’insufficienza dei posti letto, le difficoltà legate ai trasporti, l’accesso ai servizi digitali e il supporto al merito e all’inclusione, spazi di condivisioni e luoghi adibiti allo studio. Le aree interne, certo, vanno sostenute. Ma non può essere l’ADSU lo strumento privilegiato per colmare vuoti di programmazione culturale nei Comuni. Ogni funzione pubblica ha il suo scopo, e se anche i fondi provengono da fonti ministeriali diverse, l’ente che li gestisce deve restare coerente con il proprio mandato istituzionale. La promozione del diritto allo studio passa per altri strumenti, e non può essere ridotta a un calendario di eventi di intrattenimento, per quanto pregevoli sul piano artistico. Le priorità degli studenti meritano risposte concrete, non slogan di “università diffusa” che rischiano di essere solo suggestioni retoriche”.