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Spopolamento aree interne, “inversione di tendenza nelle aree del sisma”

Il commento del commissario Guido Castelli

“La crisi demografica si manifesta, incessante, anche negli ultimi dati Istat sul calo della natalità: nei primi sette mesi del 2025 siamo a -6,3% rispetto allo stesso periodo del 2024. Dopo anni di indifferenza, e addirittura di malcelata soddisfazione ideologica, di fronte ai dati sulla denatalità, la questione è diventata prioritaria nell’agenda del Governo Meloni. Un corollario non irrilevante riguarda lo spopolamento di alcune aree del Paese”, commenta Guido Castelli, commissario straordinario per la Ricostruzione e la Riparazione del Centro Italia post sisma 2016-2017.

“Se la crisi demografica può e deve essere affrontata come una grande emergenza nazionale di lungo respiro – continua Castelli – c’è una riflessione specifica da fare sullo spopolamento di alcune zone della nostra penisola, come quelle dove ci stiamo adoperando per la ricostruzione post-terremoto. In questo caso le politiche di sostegno e di “riparazione”, di natura sociale – il mantenimento dei servizi essenziali alla persona: dalla scuola alla salute – e di natura economica – per mantenere attività economiche, occupazione, e produzione di reddito – possono produrre effetti sul medio periodo. Non dobbiamo abbandonare le aree interne del Paese, anche perché spesso dal presidio umano dei territori montani e collinari, dipende la salvaguardia di quelli litoranei e di valle, per le fragilità idrogeologiche che contraddistinguono l’Italia”.

“Le analisi predittive del Cresme con orizzonte 2033 – aggiunge Castelli – ci dicono che la perdita di popolazione nelle aree colpite dal sisma, dove alla crisi demografica si è aggiunta la distruzione materiale di case e imprese, si è fermata, e addirittura mostra un’inversione di tendenza, laddove si sono concentrati gli investimenti più rilevanti per la ricostruzione, soprattutto dove le risorse della ricostruzione materiale si accompagnano a investimenti per le attività sociali, economiche e infrastrutturali”.

Insomma, la popolazione va dove si può vivere meglio. “Se si estende l’orizzonte temporale al 2043, i segnali di contenimento del declino demografico diventano ancora più evidenti – continua il commissario – e si tratta di dati in sintonia con quelli dell’ultimo Rapporto Uncem, sulla montagna italiana, dove si registra un incremento della popolazione residente in tutte le aree montane alpine e in quelle dell’Appennino centro- settentrionale. C’è un modello Appennino centrale che nella ricostruzione post-sisma si propone come strategia efficace di contrasto allo spopolamento delle aree interne, e nel lungo periodo, come fattore lenitivo del perdurante inverno demografico”.

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