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Vino Piwi: moda o storia?

I vini resistenti alle malattie fungine

Sayonara Tortoreto

Pilzwiderstandfahig! No, non è un inno alla battaglia in lingua germanica bensì la traduzione dell’acronimo PIWI (resistenti alle malattie fungine), la tipologia di vini “naturali” di cui si sente sempre più parlare nella nostra zona con addirittura dei seminari tenuti da enologi che dell’alto adige hanno visitato l’interno delle cantine, al limite fatto qualche passo in vigna e nulla più anche perchè bisogna essere allenati fisicamente per vivere la vigna in sudtirolo specie quando non è possibile accedere con mezzi meccanici ma solo a piedi!

 

Prima di iniziare la carrellata storica sull’origine (bisogna partire sempre da ciò) di questi vitigni è bene cercare di dare una risposta alla domanda: cos’è un vino naturale? In base a quale requisito lo si può definire “organico”? “Il cielo origina, la terra nutre e l’uomo AFFINA” è la massima del monaco cistercense Bernard de Clairvaux con cui, nel 1100 prendendo spunto dalle osservazioni di Plinio il vecchio nei 37 libri della Naturalis Historia del primo secolo d.c., disse che l’uomo nei processi naturali non deve sovrapporsi alle leggi della natura stessa ma solo controllare che tutto si svolga nel modo consueto quindi affinare, perfezionare senza modificare o stravolgere il tutto!

L’ho fatta scrivere in grande sulla vetrina dell’enoteca e fatta stampare su 2.350 borse in tnt per bottiglie in quanto il segreto è tutto nella corretta interpretazione della massima. Anselme Selosse, contemporaneo visionario e produttore in Champagne già 20 anni fa distingueva tra “il vino dell’uomo” ed “il vino di terroir” quindi, produrre un vino naturale significa studiare anzi “vivere” il terroir/zona in cui si opera per comprenderne (non basta capire) i nessi, le logiche sia in superficie che “sotto” (suolo) e “sotto sotto” (sottosuolo) DOPODICHE’ si deciderà come sfruttarlo al meglio senza plagiarlo.

 

Se si crea un ECOSISTEMA cioè una zona in cui la natura si esprime liberamente con i suoi EQUILIBRI, si otterrà un prodotto tipico e naturale appunto in ARMONIA con il “cielo” e la “terra”. Senza terroir ed ecosistema, non si potrà MAI produrre un vero vino naturale che appaghi i sensi e nutra! Gli antichi romani del primo secolo avanti cristo, sceglievano un luogo ritenuto meritevole per la viticoltura (i famosi campus), ci impiantavano diversi tipi di vitigni e vedevano cosa ne veniva fuori a livello di qualità del frutto, i famosi misuratori ambientali; se il raccolto non era soddisfacente, alzavano le tende e cambiavano luogo altrimenti ci fondavano una URBS (città). E’ così che sono nati i colli orientali del Friuli enologici e città del calibro di Aquileia e Cividale; anche i romani prendevano lezioni da madre terra!

Oggi, la maggior parte delle aziende vitivinicole compie il percorso inverso scegliendo il vitigno più redditizio o di moda usando “tecniche innovative” fieri del “progresso” della scienza agraria; Plinio asseriva (sempre quasi 2000 anni fa) che il “progresso inteso come allontanamento dalla natura è SBAGLIATO” e che “la tecnica è sempre soggetta al pericolo dell’errore”. La moda non è altro che un fenomeno sociale per cui si “adatta” un tipo di comportamento che può essere stile, gusto o comunque un modo di essere che non è frutto del nostro pensare! Quindi il vino piwi è solamente un fenomeno transitorio appunto moda oppure è il vino del futuro data l’entità del cambiamento climatico in corso? Per ottenere una risposta “originale” mi sono rivolto alla famiglia altoatesina (che ho avuto modo di visitare due anni fa peraltro senza preavviso) Niedermayr che ha iniziato a “giocare” con i piwi già nel 1985 nei pressi di Appiano (BZ) esattamente a Gandberg.

Ho i loro vini già da 6 anni ma non ero mai riuscito a convogliare Thomas Niedermayr in terra abruzzese ed il 21 marzo scorso, i pianeti si sono allineati e PIWI MAN Thomas è arrivato a Tortoreto! Per un appassionato della storia della lingua italiana come me è come se fosse venuto Dante Alighieri a svelarci il lavoro “mistico” che ha permesso di forgiare la propria creatura! Papà Rudolph ormai settantacinquenne, non viaggia ma opera ancora oggi in vigna ovviamente ai suoi ritmi e Thomas è l’unico dei sei figli che ha proseguito l’attività di famiglia assieme alla dolce metà Marlene.

Nonostante, per scelta, non stia nei social, si è sparsa la voce ed ho avuto 65 persone che si sono prenotate per dialogare con Thomas e degustare i suoi vini quindi ho dovuto scindere l’evento in tre momenti: pranzo presso lo splendido home restaurant Begap (già sperimentato per la finale del tour della champagne) immerso nel verde della contrada Convento di Mosciano S. Angelo e gestito da due splendidi ragazzi, Fiorenza e Stefano poi degustazione in enoteca nel pomeriggio e cena presso l’ormai celeberrimo ristorante Da Lucia della famiglia Di Gregorio che da “illo tempore” produce eccellenze a tavola oltre ad osservare le numerose “meteore” del settore “passare e non lasciar traccia”! La sera precedente, ho “sequestrato” Thomas per scambiare quattro chiacchiere in privato e fargli assaggiare la versione abruzzese del baccalà e la mitica “pizza dogg” presso la Locanda della tradizione Abruzzese di Corropoli; scontato dire che si sono superati e l’espressione di Thomas a fine cena confermava ciò. Sono andato dritto al problema, da integralista quale sono: “Thomas, dimmi che non è possibile coltivare vitigni piwi in abruzzo”!

Mi aspettavo una conferma invece, è emersa tutta la genuinità e passione di questo trentottenne: “Un piwi locale è possibile se si coinvolgono varietà locali”! Naturalmente bisogna fare anni ed anni di sperimentazione come ha fatto papà Rudolph che, avendo iniziato nel 1985 ha raggiunto la produzione di piwi propri eccellenti solamente nel 2005 e si è visto riconosciuto il lavoro dallo Stato solamente nel 2013 quando i vitigni piwi furono iscritti nel registro nazionale di S. Michele all’Adige, quasi 30 anni dopo un duro e poco redditizio lavoro svolto da chi CREDE in quel che fa! Quindi, diciamo subito ai produttori locali che intendano “CREARE” vitigni piwi che, prima di 15 anni, non otterranno un vino eccellente…sempre che la cosa funzioni! L’importante, è il dialogo tra viticoltori di zone radicalmente diverse per scambi culturali e Thomas mi ha subito chiesto di visitare vigne ed uliveti della val vibrata e val tordino, desiderio subito esaudito con l’aiuto di due illustri accompagnatori (san bernardo in chiave dantesca) come Massimo Cori dell’azienda vitivinicola Torretta di Torano Nuovo e del mio amico, sommelier e super appassionato Claudio Galliè che lo hanno guidato da Torretta e Pepe a Torano e Colle San Massimo a Case di Trento.

Tutto ebbe inizio nel 1975 a Friburgo quando Norbert Becker creò i primi incroci tra vitigni progenitori come il pinot grigio (vitigno a bacca grigia molto forte), riesling e varietà selvatiche sconosciute e/o dimenticate; si proveniva dalla terribile infestazione del 1800 in cui la fillossera (parassita) aveva quasi sterminato le viti italiane ed era stato necessario l’innesto con la vite americana per scongiurarne l’estinzione ma i vitigni innestati diedero origine a vini con caratteristiche simili e con alta percentuale di metanolo quindi nacque la necessità di fare esperimenti di incroci di cui la Svizzera ne fu instancabile veicolo ma fu a Friburgo che si ottennero i primi incroci affidabili con nomi teutonici come solaris, bronner, muscaris, helios, prior tranne il souvignier gris per le sue origini francesi.

Nel 1985 Rudolph Niedermayr iniziò a studiare il proprio territorio iniziando i primi esperimenti in vigna e nel 1991 riuscì a conseguire la qualifica di BIOLAND (significa che si è creato un ecosistema) conferita dal governo tedesco in quanto in Italia valeva NULLA (lo stato italiano è stato assente ed i viticoltori altoatesini sono stati costretti a stabilire rapporti stretti con la limitrofa germania ed austria con cui poi hanno condiviso anche la cultura in senso lato) ! Nel 1993 fonda Hof Gandberg (fattoria di gandberg) un paradiso di vigne, erba alta, diversità di flora, fauna, frutteti (perchè sotto le radici delle varie botaniche interagiscono nutrendosi a vicenda) il tutto protetti dal monte Berg e con vista sullo Sciliar (ricordo di una splendida polenta preparata da Marlene gustata su un tavolo di legno in mezzo alla vigna con vista Sciliar)! Nel 1995 inizia a produrre piwi propri cioè frutto di incroci personali di Rudolph per arrivare a produrre con la vendemmia 2005 il primo piwi ufficiale hof Gandberg di bronner: un vero archètipo!

Nel 2012 entra in azienda Thomas, a 26 anni permettendo a Rudi di concentrarsi in vigna nell’incessante lavoro di creare nuovi incroci in modo da disorientare funghi e parassiti e dare nuove impronte organolettiche; infatti, non basta creare un vigneto piwi ma bisogna “aggiornarlo” in dinamismo con la vita o natura ovvero essere biodinamici! A Rudi e Thomas non serve un marchietto verde (peraltro di dubbie regole) da apporre in etichetta: NIEDERMAYR basta ed avanza! Rudolph è patrimonio dell’umanità per ciò che è stato, ciò che è e ciò che lascerà (sapere mistico) a chi rimarrà! Per lui che ancora vive la vigna, esiste l’uomo in sintonia con la natura in una simbiosi “ancestrale”. Iniziamo la degustazione con il bianco “ancestrale” (da ancestre cioè metodiche antiche e naturali) Freistil, un vino bianco frizzante naturale (pressione attorno ai 2,5 bar) di 3 vitigni piwi nella fattispecie solaris, bronner e souvignier gris; è un vino che ricorda i profumi del mosto fresco con un medio-basso tenore alcolico, notevole complessità aromatica ed abbinabile a svariati piatti essendo dotato di gentilezza ma anche di personalità. Rispetto ai vini omologhi è molto semplice, senza fondi e lavorazioni strane ma pieno di personalità, privilegio di chi possiede una materia prima eccellente!

Passiamo ai vini fermi iniziando col solaris sempre in “variante Rudi” proposto sia in versione vigna nuova (vendemmia 2019) che in vigna storica del ’99 (la prima vigna ufficiale). La versione giovane esprime un vino di facile comprensione con aromi di frutta gialla in evidenza, medio-bassa acidità ma il finale minerale (sapido), tipico di tutti i vini di Thomas, lo eleva molto. La versione S.ALT (il nome esprime sia la sapidità da salt che il nome solaris ed alt che in tedesco significa vecchio) ’99 del solaris è un concentrato di vita, di emozioni in cui la potenza del frutto di una vigna vecchia si fonde con la tipologia di mineralità che solo radici profonde immerse nella dolomia(tipica roccia bianca delle dolomiti) possono catturare! Tutto ciò si può sentire col naso quasi non servisse berlo ma, come sottrarsi alla prova gustativa? In bocca implode e, francamente, non trovo aggettivi! L’ho proposto a fine pasto con i vari dessert ed ha dato il meglio con una tartelletta al cioccolato con caramello salato. Solo poche bottiglie prodotte per un costo di circa 63 euro ma con una bottiglia ci bevono tranquillamente 4-5 persone tanto è ricco. Il souvignier gris l’ho proposto in versione semi-vintage, vendemmia 2019 volutamente “dimenticata” in cantina per 2 anni e devo dire che si è evoluto tanto; il souvignier è particolare per il colore della buccia che va dal rosa al violaceo, per la resistenza alle gelate e soprattutto per la variabilità del profilo aromatico in base al tipo di terroir.

Dopo il primo sorso, abbiamo capito che avevamo una bomba in mano tanta era la struttura, i sentori di fieno, erbe officinali e tanta sapidità di varie sfumature; è piaciuto a tutti e ci ha fatto capire che i vini di Thomas sono migliori se bevuti un pò “stagionati”! E’ piaciuto a tutti e, con rispetto parlando, ha spazzato via il solaris bevuto prima! Passiamo al bronner ’04 in vendemmia 2017 per me il vitigno piwi più affidabile in quanto completo con la sua struttura imponente, i sentori alpini, un briciolo di speziato e tanta sapidità. In enoteca ho anche la versione passita di bronner prodotta da un’altra azienda altoatesina, Lieselehof che produce anche un ottimo spumante charmat piwi. E’ il turno del souvignier gris in versione orange quindi con macerazione delle bucce nel mosto dal nome molto romantico “abentrot” in tedesco “rosso di sera”; perchè non tradurlo crepuscolo?

Ma perchè in alto adige il crepuscolo cioè quel breve attimo che separa il giorno dalla notte, è più intenso e duraturo del nostro, complice le dolomiti! Ne ho visti talmente tanti di “abendrot” che sono sicuro di ciò. Rispetto ai macerati ed agli pseudo-orange che si vedono in giro ha un colore deciso ma luminescente ….non torbido che sembra quasi somigliare alla buccia matura del souvignier gris; il gusto è PULITO, no puzze, no sentori eterei, strani ed un’eleganza spaziale. Per me è un vino da meditazione anzi da introspezione, che ti induce a guardarti dentro; sicuramente è inimitabile. Concludiamo con il Sonnrain, un mix di piwi aromatici, buono ma troppo somigliante ai classici vitigni aromatici altoatesini.

Concludendo, sono stati due giorni per me impegnativi ma ricchi di soddisfazione nel vedere un pubblico curioso che poneva domande a Thomas e lui che rispondeva a tutti con l’aiuto di Davide, trentenne ravennate collaboratore di fiducia che qualche anno fa, ha lasciato il suo impiego di enologo presso una cantina pesarese ed è andato a vivere da Thomas rapito dal terroir e dall’onore di andare in vigna con papà Rudolph per imparare ciò che a scuola non può essere insegnato :VIVERE LA VIGNA CON UN VISIONARIO! Dopo il Tour della Champagne, ho esaudito anche il secondo (ed ultimo) desiderio professionale cioè portare in terra “borbonica” colui che seppur da ragazzo, ha vissuto dal vivo la svolta del modo d’interpretare la vigna quindi ringrazio innanzitutto Thomas Niedermayr, ragazzo umile, semplice e genuino per aver accolto il mio invito, il suo collaboratore Davide per le spiegazioni esaustive, Claudio Galliè e Massimiliano Cori per aver mostrato a Thomas con orgoglio ed umiltà il nostro terroir, Begap e ristorante da Lucia per aver presentato piatti all’altezza dell’evento e tutti i degustatori per il sano interesse dimostrato. Tutti i prodotti di Thomas e Rudi, sono disponibili presso l’enoteca Saraullo come da 6 anni. Spero che altri miei colleghi prendano iniziative del genere in quanto lo scambio di culture è l’unica via per l’evoluzione!

Stefano Grilli – enotecario
ENOTECA SARAULLO – ANNO DOMINI 1966- TORTORETO

 

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