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Abruzzo

Guerriero di Capestrano, l’accusa: workshop spacciato per diagnostica specializzata

Mentre l’iter giudiziario presso il TAR di Pescara tiene con il fiato sospeso la comunità scientifica e l’opinione pubblica, emergono nuovi elementi che sollevano interrogativi sempre più gravi sulla trasparenza e sul rigore delle analisi condotte sul celebre “guerriero”.

 

Anziché chiarire la questione Autenticità attraverso indagini professionali e super partes, il Ministero della Cultura ha scelto di affidarsi a un progetto formativo universitario.

Al centro della controversia c’è un workshop dell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara, organizzato nell’ambito del progetto europeo EuroTeCH (coordinato dalla D’Annunzio), finanziato con fondi Erasmus Plus per un totale di 362.971 euro (progetto 2018-1-IT02-KA203-048448).

Le attività, svolte tra il 2018 e il 2021, consistevano principalmente in seminari, workshop e conferenze. Da uno di questi workshop è nata la relazione preliminare ARS – Archeologia e Remote Sensing per la diagnostica delle Sculture dell’Abruzzo Arcaico (2020), poi utilizzata dal Ministero e dalla prof.ssa Oliva Menozzi, direttrice del CAAM – Centro di Archeometria e Microanalisi, come base scientifica a supporto dell’autenticità della scultura.

Uno degli aspetti più controversi riguarda le immagini UV, realizzate nel 2019 da un fotografo locale specializzato in grafica e siti web, ma privo – all’epoca del workshop – di competenze diagnostiche nell’ambito delle misurazioni con lampada di Wood. Le stesse risultano non supportate da un’attenta relazione da parte di un esperto di Diagnostica e di scienze e tecnologie applicate ai Beni Culturali o Restauratore iscritto all’elenco ufficiale del Ministero.

Ciò nonostante secondo la relazione presente nel progetto ARS, le immagini UV avrebbero permesso di individuare il colore bianco sulla celebre maschera del Guerriero. Tuttavia, esperti e luminari di diagnostica e imaging UV – interpellate dal regista Alessio Consorte – visionando le stesse immagini in via preliminare, avrebbero rilevato tracce di materiale organico riconducibile alla cera d’api. Nessun colore bianco quindi, ma gravi anomalie di materia organica.

Tuttavia dopo il diniego da parte del Ministero, all’autorizzazione di analisi chimiche con tecnologia XRF – proposte gratuitamente da Consorte con personale qualificato e strumentazione all’avanguardia (2023) – le uniche indagini eseguite, dopo il ricorso al TAR, risultano redatte senza la partecipazione di professionisti in Diagnostica dei Beni Culturali.

Tali accertamenti, definiti dal regista come “analisi pirata”, sono stati condotti con strumentazione obsoleta, privi di data, firma e di qualsiasi validazione scientifica. Questa documentazione è stata comunque depositata presso il TAR, che tuttavia l’ha ritenuta non valida ai fini dell’ottemperanza alla sentenza di condanna. Nonostante ciò, il Ministero ha successivamente trasmesso al TAR, in vista dell’udienza fissata per il 20 giugno, una seconda parte di tali analisi, riferite ad alcune stele italiche. Anche questo materiale risulta privo di data e firma e sotto il profilo scientifico è del tutto inidoneo a fornire elementi utili per l’accertamento dell’autenticità dei reperti.

Secondo l’avv. Luca Presutti del foro di Sulmona, “la produzione in giudizio delle risultanze del progetto ARS da parte del Ministero rappresenta un tentativo di eludere l’esecuzione della sentenza che lo ha condannato ad esibire gli esami che aveva dichiarato di avere già svolto”.

Tra il gruppo di ricerca “XRF”, compare perfino il presidente di un gruppo di rievocatori storici. Contattato telefonicamente, lo stesso ha dichiarato di non aver preso parte, in alcun modo, alle operazioni di misura. Nel medesimo gruppo di ricerca “XRF” compare inoltre un Tecnico di Laboratorio del Centro di Microscopie dell’Università degli Studi dell’Aquila. Tuttavia l’Ateneo aquilano ha dichiarato la propria estraneità ai fatti. Resta vago quindi, chi abbia eseguito l’analisi chimica XRF e soprattutto chi l’abbia relazionata.

Ad oggi, gli unici dati scientifici disponibili (CNR – ASSING, 2005) sollevano seri dubbi sull’autenticità del Guerriero e della Dama: la presenza di elementi come scandio, rubidio, titanio, rame, l’alterazione dello stronzio, l’assenza di elementi atmosferici sulla statua; tracce di pittura originale (bianco di gesso) sui punti di rottura, la lettera di padre Antonio Ferrua, che riporta la “notizia” della truffa avvenuta nel 1934, la cera d’api sulla superficie della statua ed altre numerose anomalie – tutti elementi già approfonditi nel film-inchiesta di Consorte “Il Guerriero mi pare strano” – portano a una conclusione sempre più chiara: il Guerriero di Capestrano è un falso realizzato in epoca fascista.

Alla luce di tali gravi anomalie, cresce l’attesa per l’udienza del 20 giugno, nella quale il TAR dovrà valutare la sostituzione del Commissario ad Acta, considerato l’inadempimento del Ministero, che non ha mai consegnato a Consorte la documentazione ufficiale sulle analisi XRF, nonostante l’obbligo imposto dalla sentenza del TAR di Pescara.

 

La precisazione di Rocco D’Errico. Sono archeologo classico, laureato in lettere nel 2006 con 110 e lode all’università G. d’Annunzio con una tesi sull’uso della fotografia digitale in archeologia. Ho partecipato con una borsa di studio post laurea al progetto ARS. Il dott. Consorte è libero di dissentire e criticare il mio operato però su di me deve dire la verità, non può qualificarmi solo come fotografo. Io sono un archeologo iscritto all’elenco dei professionisti dei Beni culturali del MIC.

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