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Sant’Egidio, Comune condannato per mobbing: il caso dell’agente della polizia locale vessata

Sant’Egidio alla Vibrata. Una vicenda nata nel 2010 e proseguita per più di dieci anni fino a quando la vittima del mobbing si è trasferita in un’altra municipalità.

Il Comune di Sant’Egidio alla Vibrata è stato condannato per mobbing dal giudice del lavoro del tribunale di Teramo Giuseppe Marcheggiani. Il contenzioso era stato incardinato nel 2022 e negli ultimi giorni il giudice ha emesso la sentenza con la quale il Comune viene condannato a risarcire l’agente della polizia locale, Loredana Camaioni (che per alcuni periodi di permanenza nella municipalità santegidiese ha anche svolto mansioni di comandante della polizia locale) ad una cifra di 45mila euro, oltre agli interessi di legge. Il Comune, inoltre, dovrà anche farsi carico delle spese di giudizio e del Ctu, per oltre 5mila euro.

Il tutto, ovviamente, ora si configura come un debito fuori bilancio per le casse comunali.
Il contenzioso. Il giudice del lavoro ha accolto parzialmente il ricorso presentato dai legali dell’agente della polizia locale, riconoscendo la sussistenza del mobbing sul posto di lavoro, attraverso il risarcimento del danno non patrimoniale subito per una somma di poco inferiore ai 45mila euro.

La vicenda. Nella ricostruzione giudiziaria, il tutto ha preso sostanza nel 2010, dopo che l’agente aveva evidenziato la fruizione non regolare dei servizi scolastici da parte del figlio del dirigente del settore finanziario (ancora in servizio in Comune). Da quel momento, nei confronto della Camaioni erano state avviate delle azioni giudicate ostili e persecutorie, fatte di denunce penali e procedimenti disciplinari da parte dell’Ente, tutti peraltro archiviati.
Nel 2012, con il pensionamento dell’allora comandante della polizia locale, le veniva chiesto, in maniera illegittima, di assolvere alle funzioni di comandante, senza un incarico formale da parte del sindaco e senza differenze retributive.

E nello stesso periodo le veniva chiesto di emettere ordinanze. In questa situazione, definita dal giudice un vero calvario, era stato avviato nei confronti della Camaioni anche un procedimento disciplinare, poi culminato da una sospensione di due mesi, senza stipendio. Sanzione annullata dopo il ricorso presentato dalla donna dinanzi al tribunale.
Il rifiuto dell’agente di assolvere ad una serie di mansioni, non dovute in assenza di un apposito decreto di nomina, aveva anche prodotto anche una serie di azioni di isolamento e boicottaggio, anche con la disattivazione di strumenti necessari all’attività d’ufficio (come per esempio la posta elettronica).
E nella sentenza emessa del giudice si fa un preciso riferimento a quella che è stata la situazione persecutoria subita sul luogo di lavoro (relazione del Ctu), che ha causato all’agente un grave danno alla salute, diagnosticato come un disturbo ansioso depressivo, reattivo cronico.
Da qui la sentenza di condanna nei confronti del Comune.

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