Il presente (difficile) e il futuro (incerto) della pesca: l’intervento
Il tempo lungo nella politica dei nostri giorni

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Franco Bruni, storico esponente della pesca di Martinsicuro
La consegna gratuita di giocatoli e materiale didattico distribuito agli alunni di una scuola alla riapertura dell’anno scolastico inasprisce dispute politiche con astiose polemiche che finiscono sulle prime pagine dei quotidiani.
Un animale trovato morto in strada o in campagna, che sia un cane, un lupo o un cinghiale, anima interminabili diatribe con relative inchieste televisive a cui prendono parte animalisti, cacciatori e politici di turno perennemente in conflitto.
L’abbattimento di un albero pericolante induce a rivalse e dispute tra ambientalisti e amministratori della vita pubblica.
Ci si accapiglia per questioni che quantunque importanti non migliorano la vita della gente.
E questo il livello della politica nel nostro paese?
Appare paradossale come ad esempio non si ritenga necessario allestire dibattiti che attengono l’endemica situazione di crisi che alberga nella pesca professionale della nostra Regione.
Al momento non cogliamo alcun segnale o dichiarazioni illuminanti, a riprova della disarmante inadeguatezza degli interlocutori politici o pseudo esperti incaricati e responsabili.
La flotta peschereccia abruzzese denuncia l’avvenuta falcidia di storiche imprese di pesca che abbandonano l’attività.
Nelle realtà marinare di Martinsicuro e Giulianova erano trentatré le imprese munite di licenza per “strascico e circuizione” che hanno dismesso, ma numerose sono quelle impegnate in altri segmenti operativi anch’esse sul punto di farlo.
Le cause di tale abbandono vanno ricercate nell’incontrollato aumento dei costi di esercizio (gasolio e altro) oltre che per gli oneri contributivi a beneficio dello Stato che incidono pesantemente nel proliferare della crisi, divenuta ormai strutturale.
Il ridotto numero di uscite per la pesca (da 5 a 3 giornate lavorative settimanali) pensato dagli operatori in funzione della necessità di ridurre i consumi di esercizio, non ha modificato più di tanto la condizione di crisi endemica che attanaglia il settore.
Un ulteriore fattore che incide profondamente nell’abbandono di questo mestiere riguarda la mancanza di personale idoneo e disponibile su cui contare.
Non è avvenuto il prevedibile avvicendamento tra gli anziani che per ragioni anagrafiche hanno smesso di esercitare e i giovani non ancora abilitati a rimpiazzarli.
Di certo però, nessun credito può essere riconosciuto al profetico pensiero di quanti sentenziano il “de profundis” per il mestiere di pescatore, ritenendo che la crisi nell’attività sia dovuta al precario stato di salute del nostro mare che non dispone più delle risorse ittiche di una volta.
Una profezia insensata, visto che sono sempre meno le unità in esercizio, quindi è meno invasivo di un tempo il conseguente abnorme prelievo della risorsa, causa esiziale dell’accentuarsi della crisi in qualsiasi attività di pesca.
Nella nostra regione una condizione al collasso che lascia senza lavoro 500 marittimi non può che riflettersi pesantemente su comparti storicamente connessi alla pesca, quali la trasformazione e commercializzazione di prodotti ittici, i vari negozi di rivendita del pescato e le storiche pescherie dislocate nel territorio. Una condizione dalla quale si esce solo attraverso una diversa modalità di approccio al mestiere di pescatore, che per quanto poco considerato (spesso dileggiato) tiene in serbo potenzialità di sana e salutare economia che riverbera i suoi influssi, esaltando le grandi potenzialità di natura alimentare che questa attività è capace di produrre. La nostra gloriosa marineria un tempo assurta a vertici riconosciuti di eccellenza nazionale sta miseramente scomparendo.
Un fenomeno diffuso anche in altre realtà regionali bagnate dal mare, ma nulla in confronto alla destabilizzante situazione di abbandono che rileviamo nella regione.
Sono acerrime le critiche che muoviamo nei confronti di chi governa, ma lo sono altrettanto quelle rivolte a chi ha governato in passato.
Evidenziamo analisi e indicazioni che servano in futuro a chi assurgerà al ruolo di responsabile nel governo della Regione.
Destinare come pare stia facendo l’attuale Governo, importanti risorse finanziarie per investimenti che attengono il proposito di attrarre un turismo di massa così come investire per eventi che calamitino l’interesse e servano a mostrare la bellezza del nostro territorio, nessun rilievo può essere mosso a chi amministra, ma negare interventi di finanza pubblica per la pesca professionale e per i comparti ad essa collegati, vuole significare disconoscere quello che nel corso di decenni tale mestiere ha consentito in termini di crescita ambientale, turismo e sviluppo economico, in ogni realtà territoriale affacciata sul mare.
La Regione investa con coraggio nella pesca e se questo dovesse avvenire si aspetti encomi e apprezzamenti, oltre che il riconoscimento storico per l’inevitabile corsa di emulazione da parte di altre regioni legate alla pesca che seguiranno il suo esempio.
Le Regione Abruzzo assurgerebbe a capostipite per politiche rivoluzionarie in quanto attenta a intercettare i riscontri operativi in un settore da rilanciare poiché capace di produrre eccellenze alimentari, se posto nelle condizioni di esprimere compiutamente le potenzialità di cui dispone.
La pesca non va apprezzata soltanto come spettacolare momento di folclore, ma considerata alla stregua delle opportunità economiche e sociali di cui è portatrice.
I vecchi saggi di una volta sostenevano che un’attività lavorativa che produce beni di consumo alimentare non può in alcun caso incorrere in situazioni di crisi irresolubili e pertanto rispetto ad altre attività, la pesca appare l’ultimissimo dei mestieri destinato a morire.
La profetica economia di pesca ROBOTICA che in divenire dovrebbe assolvere qualsiasi necessità la lasciamo ai fautori di tecnologie mirabolanti.
Che la Regione Abruzzo, prima di altre batta un colpo!
Franco Bruni



